Regista Albert Serra presenta il suo film
Очередной выпуск моего авторского Блога.
Il regista famoso spagnolo Albert Serra anticipa il suo film affascinante "Pacifiction"
Блог #55 | PIACERI_DA VEDERE AL CINEMA
Il regista spagnolo Albert Serra anticipa il suo film Pacifiction.
Una storia che sembra uscita da un romanzo scritto a quattro mani da John Le Carré e Michel Houellebecq.
TAHITI,
PAURA
E INCUBI NUCLEARI
IN STILE THRILLER
POST COLONIALISTA
C’è qualcosa di inquietante, rarefatto,
misterioso e affascinante nel
nuovo film del regista spagnolo
Albert Serra, intitolato Pacifiction
dal 18 maggio al cinema dopo
la presentazione al festival di Cannes
dell’anno scorso: una storia che sembra
uscita da un romanzo scritto a quattro
mani da John Le Carré e Michel Houellebecq,
girato con lo stile di David Lynch,
in cui non si capisce bene il confine tra
realtà e sogno; o meglio l’incubo vissuto
dal protagonista De Roller (Benoît Magimel,
monumentale), Alto Commissario
del Governo francese in Polinesia, alla
fine del proprio mandato.
De Roller si muove continuamente,
e spesso finisce in un night club pieno
di camerieri nudi, di proprietà di Morton
(Sergi Lopez), un altro espatriato. Qui
incontra la transgender Shannah (Pa-
hoa Mahagafanau), della quale forse
si innamora. Nel suo girovagare,
frequenta bar, locali e case, e nella propria
abitazione riceve i dignitari dell’isola,
preoccupati dalla notizia che la Francia
avrebbe intenzione di riprendere i test
nucleari (effettuati di nascosto fino agli
anni Novanta).
Roller vive in questo paradiso che
però gli appare un luogo sempre più
minaccioso. Teme l’arrivo di agenti stranieri
e va in giro promettendo ciò che non può
mantenere, schivando possibili rogne,
cercando di risolvere problemi e
indulgendo nel frattempo ai piaceri di una
vita dissoluta.
«L’Alto Commissario esiste davvero,
è il più importante rappresentante
della Francia in Polinesia e lo abbiamo
incontrato, anche se non ha nulla in
comune con De Roller» dice il regista a
Panorama. «Volevo girare questo film
in un luogo che non fosse già visto e
raccontato mille volte, come Parigi, così
ho pensato ai territori francesi
d’oltremare. Ho scritto una sceneggiatura
ispirata alle memorie di Tarita Teriipaia,
la moglie polinesiana di Marlon Brando
che raccontava la loro vita insieme, ma
anche i contrasti tra la purezza della
propria esistenza da bambina a Papeete
e la presenza a volte tossica degli
occidentali. Mi sembrava interessante
questa relazione tra l’immagine quasi
onirica di questo paradiso e la realtà
corrotta».
A dare corpo al contrasto è la presenza
di uno straordinario Benoît Magimel,
che con occhiali fumé e doppiopetto color
panna incarna un uomo mellifluo e pigro,
in un ruolo in cui in altri tempi sarebbe
stato perfetto Gérard Depardieu.
«L’ho conosciuto qualche anno fa al Festival
di Cannes e mi ha colpito per la sua
capacità rara di sembrare al tempo stesso
naturale e artificiale, cosa che mi pareva
perfetta per il personaggio» dice Serra.
«Nei miei film uso molta improvvisazione
e non consegno mai la sceneggiatura agli
attori. Stavolta, visto che giravo con tre
cineprese, ho deciso di dare a Benoît un
auricolare in cui suggerirgli le battute in
tempo reale; sono rimasto sorpreso dalla
sua capacità di ripeterle, a volte
riformulandole all’istante, anche migliorate, per
farle proprie. In questo modo abbiamo
ricreato quello stato di tensione e di
spaesamento di fronte al quale si trova spesso
il personaggio».
Tra i vari incontri improntati alla
falsità con dignitari, politici, agenti
segreti o presunti tali, espatriati
e ammiragli, spicca il rapporto sincero che
De Roller stringe con l’addetta
all’ospitalità, la trasgender Shannah: «So che la
transessualità è un tema molto discusso
oggi, ma non è questo il motivo per cui
il personaggio, che inizialmente doveva
essere marginale, poi ha acquisito
sempre maggiore importanza. Io amo molto
Shannah e l’attrice Pahoa Mahagafanau
che la interpreta, trovata con un casting
in Polinesia. Shannah fa parte di quelle
persone che lì vengono chiamati RaeRae,
vale a dire uomini cresciuti come donne
e destinati a impieghi femminili. Credo
che la scena sulla terrazza in cui De Roller
parla con lei e la paragona a una leonessa,
i sorrisi e gli imbarazzi tra loro, sia
qualcosa di mai visto prima al cinema».
Sviluppato con una narrazione lenta
e uno stile quasi ipnotico, e fotografato
con colori che sembrano presi in prestito
dai dipinti di Paul Gauguin e avvolti
in una luce umida, Pacifiction si rivela
un thriller in cui l’inquietudine deriva
più dal non detto e dai territori non
esplorati ma immaginati dal protagonista
che da espliciti snodi di trama.
«Mi interessava trasmettere, attraverso
una sorta di monologo interiore,
quella che è la posta in gioco, ciò che
si agita sotto la superficie. Volevo che
gli spettatori vivessero tutto attraverso
gli occhi del protagonista, un po’ come
accadeva in Chinatown di Roman Polanski,
dove chi guarda conosce solo
gli eventi dal punto di vista di
Jack Nicholson. In questo modo chi segue De
Roller non può che essere contagiato
da una specie di paranoia che lo consuma,
nonostante lui mostri un’apparente
compostezza. Nel girare il film mi sono
un po’ ispirato al thriller americano e in
particolare ho pensato a certe pellicole
come Perché un assassinio di Alan J.
Pakula, o Alla maniera di Cutter di Ivan
Passer, storie sulla fine di un sogno e
la perdita di controllo. De Roller vive
sul “chi va là”, è terrorizzato che i suoi
superiori possano metterlo da parte ed
è convinto che le decisioni siano prese
in luoghi nascosti e segreti. Scollato
totalmente dalla realtà».
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